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“E’ meglio il lavoro a chiamata o è meglio il voucher?” , è una domanda che molto spesso il consulente del lavoro si sente fare, in particolar modo da quelle aziende che hanno bisogno di una prestazione di lavoro occasionale, saltuaria o intermittente.
Innanzitutto è bene partire da un presupposto normativo: è possibile ricorrere al lavoro a chiamata (intermittente) solo in alcuni casi dettati dalla legge, ossia per le esigenze individuate dai contratti collettivi e nel caso di soggetti di età inferiore a 24 anni, oppure di età superiore a 55 anni (le prestazioni a chiamata si devono comunque concludere entro il compimento del 25esimo anno), e in assenza di queste due condizioni il lavoro a chiamata può essere comunque utilizzato nei casi, e alle condizioni, previsti dalla tabella allegata al R.D. n. 2657 del 1923 (attività a carattere discontinuo).
E’ possibile invece ricorrere al nuovo contratto di prestazioni occasionali (il cosiddetto Presto, ovvero l’ex voucher) per tutti i datori di lavoro (escluse le pubbliche amministrazioni e i privati) con non più di cinque dipendenti a tempo indeterminato, e con i seguenti limiti economici (tutti riferiti all’anno civile di svolgimento della prestazione lavorativa): per ciascun prestatore, con riferimento alla totalità degli utilizzatori, a compensi di importo complessivamente non superiore a 5.000 euro; per ciascun utilizzatore, con riferimento alla totalità dei prestatori, a compensi di importo complessivamente non superiore a 5.000 euro e per le prestazioni complessivamente rese da ogni prestatore in favore del medesimo utilizzatore, a compensi di importo non superiore a 2.500 euro (salvo casi particolari, ad es. i pensionati). Da ricordare inoltre che questo tipo di prestazione non può essere utilizzata per il settore agricolo (se non in alcuni casi), edile, lapideo e affine e nell’ambito di esecuzione di appalti di opere o servizi e inoltre non è possibile fare ricorso a prestazioni di lavoro occasionale rese da parte di lavoratori con i quali l’utilizzatore abbia in corso, o abbia avuto negli ultimi sei mesi, un rapporto di lavoro subordinato o di collaborazione coordinata e continuativa.
Queste prime indicazioni consentono già di indirizzare il datore di lavoro alla giusta scelta: sicuramente chi non ha possibilità di ricorrere al lavoro intermittente dovrà necessariamente virare sul contratto di prestazione occasionale e viceversa.
E’ necessario analizzare anche il metodo di utilizzo dei due istituti:
La nuova prestazione occasionale prevede però che l’azienda eroghi almeno l’equivalente di 4 ore di prestazione per ogni giornata denunciata, anche nel caso in cui la prestazione sia stata inferiore alle 4 ore, cosa che non è assolutamente prevista nel caso del lavoro intermittente.
Questo, associato alla retribuzione minima standard di 9 € nette all’ora (in totale circa € 12,30 lordi orari), potrebbe rappresentare per alcune aziende il primo grande “contro” rispetto al lavoro intermittente (a cui si applicano i minimi previsti dal ccnl di riferimento).
A parere di chi scrive, il lavoro intermittente, quando possibile, consente di avere parità di trattamento tra i lavoratori “stabili” e quelli “al bisogno”, al contrario del contratto di prestazione occasionale.
Inoltre per l’azienda, e in particolar modo per quella che già ha in essere dei rapporti di lavoro subordinato, è sicuramente più comodo non attivare un ulteriore canale per il pagamento della prestazione lavorativa, sinonimo di ulteriori adempimenti.
La scelta spetta sempre all’azienda, ma queste piccole indicazioni potranno esser utili ai fini della stessa.
Dott. Marco Tuscano
Consulente del lavoro n. 911 Ordine CdL Brescia
Novembre 18, 2024